Di ragioni per marciare in questo movimento del pane che porta un nome proiettato al futuro, e già per questo mi piace, ce ne sono diverse. Le cito in ordine sparso. Il pane è alimentazione, innanzitutto, ma nella società contemporanea ha acquisito un suo posto assai differente dal passato: se prima si mangiavano 500 grammi di pane a testa, tutti i giorni, oggi se ne mangiano 40; mentre una volta se ne consumava tutto il giorno a tutte le ore dedicate ai pasti, oggi ha mutato il suo posto nel quotidiano e se ne consuma addirittura di più a colazione. Non è la conta dei numeri e delle ore a fare la differenza, tutto questo vuol dire che la società è cambiata e che bisogna ripensare la posizione del pane nella società stessa. Vuol dire che è il momento di spingere su tasti diversi, e per farlo bisogna partire da tre premesse. Smetterla di fare classifiche del pane, fino all’altro ieri eravamo sfuggiti solo noi panettieri a questa mania che ci mette gli uni contro gli altri, parliamo di pane in relazione all’importanza che riveste nell’alimentazione, è questo il primo nodo della questione. Poi: fare rete. C’è un popolo panettiere che si sta muovendo e mentre lo fa, si diverte. Il panettiere è nel mondo del cibo quello che il giocatore di rugby è nello sport: c’è tanto scambio, ci vogliamo tutti i bene, è così che deve continuare ad essere. Terzo e non ultimo punto: guardate la mia giacca, io addosso ho solo patacche, ma niente sponsor. Vuol dire preservarsi la libertà di scegliere grandi farine, che spesso sono frutto del lavoro dei più mulini più piccoli. E poi smettiamola con i partiti anche nel nostro mestiere: sia il lievito di naturale che il lievito di birra sono l’anima di due tecniche di panificazione, ma in entrambi i casi occupano un posto ben preciso nell’alimentazione. Il lievito di birra è quello vocato, come dire, agli snack: ma diciamolo che un panino all’olio, con un minimo di 18 ore di lievitazione, è eccezionale, l’importante anche in questo caso (lo dirò fino allo sfinimento) è usare una grande farina. Parliamo anche di agricoltura e parliamo di economia. Ricordiamoci che in nome del grano si sono combattute guerre non meno sanguinose di quelle combattute in nome del petrolio, e ricordiamoci di essere in Italia dove i mulini hanno sempre avuto una impronta purista. Noi panettieri del futuro vogliamo fare un’altra economia, e il movimento Grani futuri non ha trascurato nessuno degli aspetti cruciali per mettere a segno l’obiettivo. Non è un caso che dentro il movimento ci siano anche agricoltori, medici e scienziati: sono loro che devono dirci come fare perché il pane sia buono anche per la salute. Anche questo significa fare rete.