“La ragione per cui sono stato fra i primi firmatari del Manifesto futurista del pane? Il motivo è abbastanza chiaro: il movimento che va sotto il nome di Grani futuri è in perfetta linea con la rivoluzione della birra che io stesso ho cercato di innescare, una rivoluzione che va dalla terra al bicchiere, un moto di ricerca su quello che sono e che erano le tradizioni, e che ha senso riesplorare a patto di renderle contemporanee. Mi spiego. Io sono nato da una famiglia contadina e ho un ricordo nitidissimo e sconvolgente di mio padre a gennaio che andava a potare la vigna, senza guanti, con delle temperature che un umano della mia generazione non riesce nemmeno ad immaginare, figurarsi affrontarle. Quella era gente dalla pelle dura, spessa come quella di un elefante, oggi siamo tutti assai meno coriacei, assai più fragili. Non è nostalgia passatista, il cliché del si stava meglio quando si stava peggio. Il punto è che in quel passato c’è del buono da portarsi nel futuro, a patto di rendere quella lezione attuale. Ma senza estremismi. Nel nome della pasta madre, dei vini e delle birre a fermentazione spontanea si giustificano, talvolta, acidità e sgradevolezze inaccettabili che nulla hanno a che vedere con la nobile origine di questo modo di produrre e intendere il prodotto. Si può fare del pane, della birra buona mettendo insieme il paniere dei valori del passato, il gusto del presente, e quel tanto che abbiamo imparato nel frattempo e che vale la pena di traguardare nel futuro. È questo Grani futuri, no?”.